L’ermeneutica è un «pensiero debole»? Il fondamento e i suoi sensi

Anna Escher Di Stefano

Abstract


II problema dell'interpretazione costituisce uno dei temi centrali della storia del pensiero. Esso percorre la ricerca filosofìca a partire dal perì ermeneias di Aristotele, attraversa il discorso teologico della spiegazione dei testi sacri nell'età patristica, diventa allgemeine Auslegungskunst con G. Fr. Meier e soprattutto con Fr. Schleiermacher e, passando attraverso le riflessioni di Droysen, Dilthey, Weber, si ripropone in nuovi contesti problematici e teoretici con Husserl, Heidegger e Gadamer. In questo suo lungo percorso l'ermeneutica, soprattutto nel mondo culturale tedesco, si accompagna allo storicismo, l'una e l'altro radicati in una tematica della finitezza, cui fa da espressione il linguaggio. Il problema della imprescindibilità del linguaggio accomuna infatti molte espressioni della filosofia contemporanea, che, appunto, in una ermeneutica vista in una molteplicità di accezioni trovano il loro punto d'incontro. Eppure, nonostante che l'ermeneutica stia vivendo oggi un suo momento forte, striscia da tempo un luogo storiografico diffuso che l'ermeneutica sia un pensiero debole, espressione di una filosofia della crisi. Niente di più errato. Proprio oggi, invece, l'ermeneutica sta vivendo una sua stagione complessa e variegata, com'è dimostrato dalla vivace presenza delle nuove forme in cui essa si manifesta, la cui posta in gioco non è soltanto la natura del comprendere - ontologica o non ontologica - ma il ruolo stesso della filosofia, il ruolo dell'uomo nel mondo e della sua salvezza, il problema della sua emancipazione e della sua libertà, il problema della intercomunicazione, la riflessione sulle varie forme di linguaggio, ecc. Basterebbe pensare a tutta la nuova ermeneutica, sia nel suo versante per così dire "epistemologico" e "metodologico" (Gardiner, Dry, von Wright, Anscombe), sia nel suo versante teologico (Pannenberg, Bultmann), sia in quello etico-politico (Rorty), sia in quello della critica dell'ideologia, che trasversalmente è sempre ermeneutica (Apel, Habermas, ecc.), sia in sede estetica (La Scuola di Costanza, H.R. Jauss e W. Iser), sia in sede filosofico-letteraria con tutti i rappresentanti del decostruzionismo, in Francia, con gli "Yale Critics" e con S. Fish in America, con L. Frank e G. Boehm in Germania). Per non parlare dell'influenza dell'ermeneutica in psichiatria, psicoanalisi, ecc. E allora dato tutto ciò, dato il fervore, la diffusione e l'interconnessione degli studi, il prestigio delle scuole, il livello dei suoi rappresentanti, dato tutto ciò, ripeto, è mai possibile, ammissibile, lecito, parlare di una ermeneutica come "pensiero debole"?

The question of interpetation is one of the central topics in the history of thought. It runs through philosophical research, starting with Aristotle's perì ermeneias, it is present in the theological discussion on the explanation of the sacred texts in the Patristical age, it becomes allgemeine Auslegungskunst with G. Fr. Meier, and, above all, with Fr. Schleiermacher and passing through the reflections of Droysen, Dilthey and Weber, it comes up again in new theoretical and problematic contexts with Husserl, Heidegger and Gadamer. On its long path, hermeneutics, above all in the German cultural world, is linked to historicism, both rooted in the thematic of perfection, whose expression is language. The question of the indispensability of language brings many expressions of contemporary philosophy closer together, finding their meeting point in hermeneutics seen in a multiplicity of interpretations. However, although hermeneutics is meeting with favour at the moment, there is still a widespread historiographical belief that hermaneutics is weak thought, as the expression of a philosophy of crisis. Nothing could be more mistaken. Today, hermeneutics is living its complex and varied season, as can be seen by the active presence of the new forms; the real issue being not only the nature of understanding - ontological or non-ontological - but the very role of philosophy, the role of man in the world and of his salvation, the question of his emancipation and freedom, the problem of intercommunication, reflection on the various forms of language etc. One needs only think of all the new aspects of hermeneutics - ‘epistemological’ and ‘methodological’ (Gardiner, Dry, von Wright, Anscombe), theological (Pannenberg, Bultmann), ethical-political (Rorty), the criticism of ideology, which, transversally is still hermeneutics (Apel, Habermas, etc.), aesthetics (the School of Konstanz, H.R. Jauss and W. Iser), philosophical-literary including all the representatives of deconstructionism (in France, with the Yale Critics and S. Fish in America, and L. Frank and G. Boehm in Germany), not to mention the influence of hermeneutics in psychiatry, psychoanalysis etc. Taking into consideration the zeal, promulgation and interconnection of studies, the prestige of the schools, and the status of its representatives; given all this, I repeat, is it at all possible, admissable or proper to speak of hermeneutics as ‘weak thought'?


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