Il primo centro-sinistra e le riforme 1962-1968

Ermanno Taviani

Abstract


Il primo centrosinistra (1962-1968) e i suoi risultati costituisce uno dei temi che più ha appassionato gli storici negli ultimi decenni. La lunga gestazione di questa nuova coalizione politica, il nuovo scenario internazionale che la rese possibile (la coesistenza pacifica, il Concilio Vaticano II), l’intenso confronto programmatico che l’ha preceduta, animato dalle migliori teste dell’area laica, cattolica e socialista (La Malfa, Saraceno, Giolitti, Lombardi), il boom economico e i suoi sconvolgimenti che l’avevano resa necessaria, le grandi speranze che l’accompagnarono appaiono in contraddizione con i suoi magri risultati in termini di riforme. L’Italia cambiava nel suo profondo e questo processo rendeva necessario un allargamento della classe dirigente e il superamento del modello di sviluppo fondato sui bassi salari e sui bassi consumi degli anni cinquanta. Se esiste una sostanziale concordia sul fatto che il centro-sinistra, rispetto alla sua impostazione originaria, abbia rappresentato un’esperienza fallimentare, non c’è tuttavia eguale identità di vedute sulle ragioni del suo insuccesso. Queste ultime infatti vengono individuate sia nel ritardo dei tempi della politica rispetto a quelli dell’economia (il miracolo economico stava esaurendo la sua fase più espansiva), sia alle strozzature del sistema politico italiano (la forza elettorale del Partito comunista italiano, che rendeva impossibile una politica di alternativa; le resistenze conservatrici nella Democrazia cristiana; il massimalismo di alcune delle proposte dei socialisti; ecc.). In questo saggio vengono discusse le realizzazioni effettive della maggioranza formata da Dc, Psi, Psdi e Pri e analizzati i nodi politici connessi ad alcune delle mancate riforme. Questa nuova coalizione però, a differenza del giudizio che emerge in certe ricostruzioni, ha rappresentato comunque una svolta politica, ha determinato importanti passaggi per la politica italiana: il parziale superamento della guerra fredda, con l’instaurazione di un nuovo clima politico. Quella formula politica ha costituito in ogni caso un allargamento della classe dirigente del paese e ha registrato in qualche modo sul piano dei rapporti politici i fenomeni di rinnovamento prodottisi nella società. La fase in cui vennero varate le principali riforme fu quella del IV governo Fanfani, a cui i socialisti diedero il loro appoggio esterno, con la nazionalizzazione dei monopoli elettrici nell’ENEL e la nascita della scuola media unica. Se la prima di questi due importanti riforme non dette i risultati sperati, la seconda invece venne incontro ad un’esigenza fortemente sentita nella società italiana. I pessimi risultati per la Dc e il PSI delle elezioni del 1963, che spinsero una parte dei democristiani verso una posizione immobilista, le resistenze di una buona parte della classe imprenditoriale di cui si fece interprete la Banca d’Italia, il rallentamento dell’economia fecero sì che quando la coalizione «organica» di centro-sinistra vide (dicembre 1963) la luce non riuscisse a esprimere una decisa politica di riforme che verrà in parte ripresa solo alla fine della legislatura (1967). I tre governi presieduti da Aldo Moro fino al1968, infatti, diedero solo in parte attuazione al vastissimo programma concordato dai partiti della coalizione. Per frenare alcuni provvedimenti, come la legge urbanistica, si ebbero anche trame oscure, come quella legata al generale De Lorenzo (1964). Una delle ragioni per cui la fase riformista del centro-sinistra si esaurì molto rapidamente fu che venne meno il presupposto che l’aveva resa possibile: una continuazione a ritmi elevati del processo di sviluppo, e l’ipotesi che l’espansione economica producesse le risorse sufficienti per venire incontro alle esigenze della collettività in termini di servizi, ammodernamento delle strutture statali, soluzione degli squilibri. Accanto a questo, le lotte operaie, riprese con vigore all’inizio degli anni ’60, ruppero l’equilibrio sociale e imposero una redistribuzione del reddito a favore dei salari. Il tema della programmazione economica rappresentò l’effettivo banco di prova del centrosinistra. Si trattava di trovare la strada di una politica volta sostenere lo sviluppo industriale, attraverso il rinnovamento radicale delle strutture statuali, l’organizzazione della nuova società urbana, l’istituzionalizzazione di una moderna contrattazione collettiva tra le parti sociali. Quello che doveva essere il provvedimento eponimo del centro-sinistra fu l’unica riforma di rilievo approvata dopo il 1963, ma ormai in ritardo e quindi svuotata di rilevanza pratica.


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