Università, potere e rivoluzione: docenti in «in prima linea»

Elena Frasca

Abstract


Le vicende storiche che, a più riprese, si susseguirono in Sicilia nel corso del XIX secolo videro spesso coinvolte anche le élites urbane che, più o meno velatamente, assursero a ruolo di protagoniste. In questo senso, la compagine accademica dell’Università di Catania può, per certi versi, considerarsi «in prima linea» negli avvenimenti dell’epoca, attraverso i vissuti umani e professionali di alcuni suoi componenti che, a vario titolo, ebbero un ruolo importante nei rivolgimenti politici della città. Il periodo inglese nell’isola, caratterizzato dall’esperienza costituzionale, diede voce ai rappresentanti «democratici» catanesi, primo fra tutti  quell’Emanuele Rossi che ebbe come discepoli molti dei futuri «rivoluzionari» del 1837 e del 1848, tra cui i docenti universitari Giovanni Sardo, Innocenzo e Francesco Fulci. All’indomani della repressione dei moti carbonari del 1820-21, la Giunta di scrutinio mieté vittime illustri proprio tra i  professori delle Università di Palermo e di Catania, tra i quali gli stessi Sardo e Fulci, e Francesco Strano. Gli anni immediatamente successivi ai moti furono caratterizzati dalla chiusura del governo verso qualsiasi forma di modernizzazione istituzionale. Le congiure, tuttavia, continuarono a essere ordite, animate soprattutto da persone appartenenti alla «borghesia » e al «basso clero». La rivolta del 1837, fomentata da una «provvidenziale» epidemia di colera, coinvolse, a Catania, uomini in vista della élite cittadina, molti dei quali presero parte attiva nel Comitato urbano formatosi in quei giorni. Tra essi, in particolare, si contano diversi docenti universitari come Antonino Di Giacomo, Carmelo Platania e Carlo Gemmellaro, che ha lasciato delle interessanti Memorie relative proprio al moto del ’37. La dura repressione seguita ai fatti di quell’anno spinse le autorità governative e di polizia a operare dei controlli a tappeto tra i cittadini «sospetti». Tra essi, molti sono proprio i nostri docenti universitari. Gli intenti dei «rivoluzionari», comunque, non conobbero tregua. La Sicilia, infatti, riaccendeva la miccia contro i Borbone nel mese di gennaio del 1848 con la nota rivoluzione che, ben presto, catturò nel suo vortice gli strati più alti della società. Carlo Gemmellaro, ancora una volta, scrive una Memoria sugli avvenimenti di quegli anni, schierandosi apertamente – a differenza del manoscritto del ’37 – contro la monarchia di Ferdinando II. Tra i membri del Parlamento rivoluzionario, a Palermo, si segnano i nomi di due docenti universitari: Giuseppe Catalano e Francesco Marletta. Anche il Comitato generale  del Valle di Catania contava, tra i suoi membri, numerosi professori del locale ateneo, tra i quali Lorenzo Maddem, Carmelo Ferlito Faro, Ignazio Landolina, Paolo Castorina Di Giacomo, Gregorio Barnaba La Via e gli stessi Catalano e Marletta. All’indomani della restaurazione borbonica la vigilanza della polizia regia parve rafforzarsi, particolarmente nei confronti dell’università degli studi. L’ateneo, addirittura, si vide annullate le lauree concesse durante il periodo rivoluzionario. L’ultimo decennio «borbonico», comunque, non fermò l’attività di comitati segreti e «rivoluzionari» e i nostri docenti universitari, ancora una volta, si posero «in prima linea» fino al raggiungimento del traguardo unitario del 1860.


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